Il libro che sto per leggere appare interessante fin nella presentazione del suo curatore, che subito smitizza uno dei pilastri del nostro sistema democratico: l'apparato dei media studiato appositamente per addormentare e addomesticare le coscienze, mirando «a ridurre i cittadini a semplici spettatori e consumatori passivi». E ci voleva proprio un filosofo linguista per “smontare" le menzogne sistematiche di un meccanismo che cerca di legittimare guerre e sfruttamento nel nome di miti che poco potrebbero resistere se si trovassero davanti cittadini non recettori passivi, ma interlocutori attivi della democrazia formale. Chomsky parte da Aristotele, pericoloso radicale, che dava per scontato: a) che una democrazia dovesse essere partecipativa; b) che suo obiettivo dovesse essere il bene comune. Aristotele o no, è difficile non essere d'accordo su questi punti.
Meno semplice e più problematico è un altro assioma che Noam Chomsky sembra condividere: l'idea che grande ricchezza e democrazia non possano coesistere. Infatti, se il nemico è la ricchezza in sé, si potrebbe pensare che la società perfetta è quella delle bestie, dove non esistono ricchi o poveri, ma sono tutte bestie che vivono allo stesso modo. Inoltre, la ricchezza è un prodotto del lavoro umano, almeno in origine. La strada corretta pare invece quella della progressiva riduzione della povertà. Ma come? Sta in ciò buona parte dell'arte della politica. Se James Madison è da annoverare fra i padri fondatori della democrazia americana, egli pensava – osserva Chomsky – che per risolvere l'opposizione fra grande ricchezza e democrazia, si dovesse ridurre la democrazia, assicurando il dominio della minoranza degli opulenti. Se le cose stanno così, diventa una bufala l'entusiasmo di quanti osannano l'America come la più grande democrazia del mondo, da seguire in tutto e per tutto come un modello.
Non voglio analizzare tutta l'intervista di Chomsky sul bene comune, agevole da leggere benché il titolo faccia pensare a qualcosa di tomisticamente noioso. Non ne ho il tempo, anche se Chomsky merita tutto il tempo. Voglio tirare ad indovinare una possibile soluzione al dilemma che mi pare di aver intravisto. Posso sempre ritornare su questo testo, cancellando ed integrando. Ebbene, se l'uomo discende dalla scimmia, si distingue con il tempo in una cosa: ha perso il pelo. Ciò significa che per proteggersi dal freddo e dalle intemperie, ha bisogno di una pelliccia, del fuoco, di una caverna, e così via. Si può dividere il sistema dei bisogni in due livelli: una soglia minima sotto la quale non si può vivere, ma semplicemente si muore. Questa soglia muta storicamente sotto l'azione congiunta di fattori molteplici, volontari ed involontari, casuali o catastrofici. Dovremmo rileggere con un'ottica apposita l'intera storia umana, ossia ciò che si chiama comunemente preistoria (la gran parte della condizione umana) ed il minor periodo detto storia in quanto caratterizzato dall'invenzione e dall'uso della scrittura: una miserabile distinzione poco utile per la conoscenza dell'uomo nella sua interezza.
Soddisfatta la soglia minima dei bisogni, gli uomini possono essere spinti verso il lusso o le comodità che ad altri paiono eccessive e perfino offensive. Non si dovrebbe essere caustici. Anche in queste cose una certa tolleranza non guasterebbe. Ciò che in un baldo e vispo giovane può apparire inutile, diventa necessario per un anziano che appena si regge sulle gambe: una sedia può essere un bisogno essenziale per un anziano. Non ne ho voluto sapere di telefonini fino a quando un'emergenza non ha reso necessaria la mia pronta reperibilità. E così potrei dire per la macchina ed altre cose.
Insomma, chi sviluppa il sistema dei bisogni può avere una funzione trainante nell'innalzamento della soglia minima. Il "ricco" pertanto non dovrebbe sempre essere dipinto in modo tale da renderlo odioso ai più. Può avere una funzione socialmente utile nella misura in cui sviluppa la sensibilità umana. L'invidia non è un sentimento nobile. Gli uomini dovrebbero essere valutati non per ciò che possiedono ma per le loro qualità personali ed i mezzi materiali dovrebbero essere sempre posti al servizio dell'uomo e non costituire essi uno scopo, lo scopo, a detrimento dell'uomo stesso e della sua dignitò. Credo che Chomsky vada in questo senso del discorso, quando teorizza: «Ogni sforzo teso a creare un'esistenza più umana finisce col limitare la libertà di qualcun altro». E' di nuovo l'arte della politica, una scienza necessaria ed in un certo senso preliminare ad ogni altra: una philosophia prima.
Meno semplice e più problematico è un altro assioma che Noam Chomsky sembra condividere: l'idea che grande ricchezza e democrazia non possano coesistere. Infatti, se il nemico è la ricchezza in sé, si potrebbe pensare che la società perfetta è quella delle bestie, dove non esistono ricchi o poveri, ma sono tutte bestie che vivono allo stesso modo. Inoltre, la ricchezza è un prodotto del lavoro umano, almeno in origine. La strada corretta pare invece quella della progressiva riduzione della povertà. Ma come? Sta in ciò buona parte dell'arte della politica. Se James Madison è da annoverare fra i padri fondatori della democrazia americana, egli pensava – osserva Chomsky – che per risolvere l'opposizione fra grande ricchezza e democrazia, si dovesse ridurre la democrazia, assicurando il dominio della minoranza degli opulenti. Se le cose stanno così, diventa una bufala l'entusiasmo di quanti osannano l'America come la più grande democrazia del mondo, da seguire in tutto e per tutto come un modello.
Non voglio analizzare tutta l'intervista di Chomsky sul bene comune, agevole da leggere benché il titolo faccia pensare a qualcosa di tomisticamente noioso. Non ne ho il tempo, anche se Chomsky merita tutto il tempo. Voglio tirare ad indovinare una possibile soluzione al dilemma che mi pare di aver intravisto. Posso sempre ritornare su questo testo, cancellando ed integrando. Ebbene, se l'uomo discende dalla scimmia, si distingue con il tempo in una cosa: ha perso il pelo. Ciò significa che per proteggersi dal freddo e dalle intemperie, ha bisogno di una pelliccia, del fuoco, di una caverna, e così via. Si può dividere il sistema dei bisogni in due livelli: una soglia minima sotto la quale non si può vivere, ma semplicemente si muore. Questa soglia muta storicamente sotto l'azione congiunta di fattori molteplici, volontari ed involontari, casuali o catastrofici. Dovremmo rileggere con un'ottica apposita l'intera storia umana, ossia ciò che si chiama comunemente preistoria (la gran parte della condizione umana) ed il minor periodo detto storia in quanto caratterizzato dall'invenzione e dall'uso della scrittura: una miserabile distinzione poco utile per la conoscenza dell'uomo nella sua interezza.
Soddisfatta la soglia minima dei bisogni, gli uomini possono essere spinti verso il lusso o le comodità che ad altri paiono eccessive e perfino offensive. Non si dovrebbe essere caustici. Anche in queste cose una certa tolleranza non guasterebbe. Ciò che in un baldo e vispo giovane può apparire inutile, diventa necessario per un anziano che appena si regge sulle gambe: una sedia può essere un bisogno essenziale per un anziano. Non ne ho voluto sapere di telefonini fino a quando un'emergenza non ha reso necessaria la mia pronta reperibilità. E così potrei dire per la macchina ed altre cose.
Insomma, chi sviluppa il sistema dei bisogni può avere una funzione trainante nell'innalzamento della soglia minima. Il "ricco" pertanto non dovrebbe sempre essere dipinto in modo tale da renderlo odioso ai più. Può avere una funzione socialmente utile nella misura in cui sviluppa la sensibilità umana. L'invidia non è un sentimento nobile. Gli uomini dovrebbero essere valutati non per ciò che possiedono ma per le loro qualità personali ed i mezzi materiali dovrebbero essere sempre posti al servizio dell'uomo e non costituire essi uno scopo, lo scopo, a detrimento dell'uomo stesso e della sua dignitò. Credo che Chomsky vada in questo senso del discorso, quando teorizza: «Ogni sforzo teso a creare un'esistenza più umana finisce col limitare la libertà di qualcun altro». E' di nuovo l'arte della politica, una scienza necessaria ed in un certo senso preliminare ad ogni altra: una philosophia prima.