Mentre mi accingo dopo oltre 25 anni ad una rilettura cronologicamente cadenzata dell'intera opera di Friederich Nietzsche mi imbatto in questi propositi del filosofo dodicenne che il 26 dicembre 1856 scriveva: «Finalmente è presa la decisione di tenere un diario in cui affidare alla memoria tutto ciò che di triste o di lieto colpisce il mio cuore, così che, a distanza di anni, io possa riandare alla vita e all'attività di quest'epoca e soprattutto ricordare 'me stesso'. Possa questa risoluzione non vacillare mai, nonostante i notevoli ostacoli che vi si frappongono». Il proposito è stato mantenuto nel senso che Nietzche in tutto l'arco ha della sua vita ha scritto molto, anche se probabilmente non è stato quegli che ha scritto di più in assoluto, cioè in termini quantitativi. E' però paradossale pensare che forse la scoperta più importante della sua speculazione filosofica è stata la riscoperta di quei sapienti antichi, vissuti prima di Aristotel e Platone, la cui sapienza non era consegnata alla scrittura. Mal si concilia in effetti la figura del sapiente pienamente compreso della tragicità dell'esistere con l'attività scrittoria del professionista che deve trascorrere non poche ore della sua giornata seduto ad una scrivania, spesso solo per imbrattare carta che forse era meglio non sciupare, lasciando vivere l'albero dalla quale è stata ricavata.
sabato, luglio 15, 2006
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